Pubblicato il 23 Luglio 2005
si è tenuta la presentazione del libro “il Vangelo secondo Ravenna” Suggestioni e misticismo di Ravenna, visti da André Frossard
La bellezza in un mondo di tenebre è il titolo dato a questa serata per presentare il libro di André Frossard, Il vangelo secondo Ravenna.
Il titolo riflette la ragione per cui abbiamo pubblicato questo libro che è certamente quello che più compiutamente esprime l’intento della nostra casa editrice, il cui nome, Itaca, si collega ad Ulisse, che, come afferma Mircea Eliade, è l’emblema dell’uomo come essere in cammino che rischia di smarrirsi nel labirinto della vita, ma se trova la strada per ritornare a casa, allora egli diventa un altro essere.
Giovanni Paolo II all’Unesco disse che la cultura è coltivazione dell’umano, è il lavoro attraverso il quale l’uomo si prende cura di sé per essere di più. Questo è l’orizzonte della nostra società: entrare nel vivo del dramma dell’uomo, che è innanzitutto quello di dare un senso alla vita, producendo e selezionando libri e strumenti culturali in grado di favorire la scoperta e la coltivazione della propria umanità.
Vorrei comunicare, introducendo questa serata, alcuni temi che sento connessi a questo volume e che me lo fanno ritenere un libro prezioso.
Parto da una affermazione del card. Ratzinger: “La bellezza ferisce, ma proprio così essa richiama l’uomo al suo Destino ultimo.”
Il problema del destino coincide col problema del senso della nostra vita.
E’ diffusa la mentalità secondo la quale la vita non ha senso, è il luogo dell’assurdo. Come afferma Vasco Rossi, uno degli interpreti di questo modo di sentire, molto in voga non solo tra i giovani, la vita non ha senso, siamo noi ad avere questa esigenza, ma il senso delle cose e della vita è quello che ciascuno di noi le assegna. In effetti, come afferma il filosofo Paul Ricoeur, “Noi apparteniamo alla civilizzazione che ha ucciso Dio, ovvero che ha fatto prevalere l’assurdo e il non senso sul senso” (Ricoeur: vi spiego cos’è la felicità, in Avvenire, 21 giugno 2005).
Se la vita non ha senso l’uomo vive per niente, è un essere per la morte: è il trionfo del male, dell’assurdo, della morte. Ma, osserva ancora Ricoeur, “questo provoca una profonda protesta” perchè non possiamo accettare che il niente, l’assurdo, la morte siano l’ultima parola: “per quanto sia radicale il male, esso non è così profondo come la bontà” (ibidem).
Questa è la grande alternativa, se la vita è destinata al nulla oppure se essa ha un destino eterno per cui ogni istante, ogni azione, ogni parola si inoltra nella profondità dell’Essere, ha un proprio significato, un proprio compito, “come la famosa anatra di Ravenna”, direbbe Frossard, alla quale fa dire di essere certamente personaggio minore, ma “con la mia presenza su questi venerabili muri io attesto la bontà del Creatore di tutte le cose, che ha voluto associarmi alla trasfigurazione generale mettendomi su questo tappeto d’oro fino”.
Siamo eredi di una cultura che ha voluto porre l’uomo al centro del mondo, ritenendo Dio un ostacolo ed un limite alla propria libertà. Oggi assistiamo alle conseguenze. L’unico orizzonte dato all’uomo è quello della quotidianità fatta di mille cose che, anche quando appagano momentaneamente, non hanno la forza di dare speranza all’uomo davanti alle circostanze dolorose o tragiche della vita. Togliere Dio dalla vita è come togliere al mare l’orizzonte: viene meno il suo fascino.
Questo mondo senza Dio diventa una “terra desolata”, come la definì il poeta Eliot, agli inizi del secolo scorso. Di “deserti interiori” ha parlato Benedetto XVI nell’omelia per l’inizio del suo pontificato.
Che cosa si intende quando si parla di terra desolata, di deserti interiori, di un mondo di tenebre?
Il card. Ratzinger, in un bellissimo volume, Guardare Cristo, pubblicato nel 1989, così scrive: “Tutte le nostre angosce sono in ultima analisi paura per la perdita dell’amore e per la totale solitudine che ne consegue (…) Nella crescente profanizzazione del mondo la disperazione non è più da lungo tempo una eccezione e proprio nell’età della speranza, nella giovinezza e perfino nella fanciullezza, diventa sempre più frequente… Oggi vediamo, spesso proprio sul volto dei giovani, una strana amarezza, una rassegnazione… La radice profonda di questa tristezza è la mancanza della grande speranza e l’irraggiungibilità del grande amore. Tutto ciò che c’è da sperare è conosciuto e ogni amore sfocia nella delusione per la finitezza di un mondo i cui enormi surrogati non sono che la misera copertura di un’abissale disperazione… Adesso soltanto il flirt con la morte, il crudele gioco della violenza è abbastanza eccitante per creare un’apparenza di soddisfazione”.
Spesso, prosegue Ratzinger, l’uomo, “nella sua borghese contentezza di sè”, crede di non avere bisogno dell’amore di Dio. “Forse durante tempi tranquilli si può vivere a lungo in questo atteggiamento. Ma nel momento della crisi o ci si converte o si cade nella disperazione”.
Ma, prosegue, la storia umana con tutti i suoi terrori non sprofonderà nella notte dell’autodistruzione… Dopo le catastrofi della storia, Dio resta Dio” (p. 46-47). “La ‘mano di Dio’ impedisce la marcia verso il nulla, essa riporta così la pecora smarrita al pascolo dell’essere, dell’amore” (p. 46).
Il profondo valore e la forza del libro di Frossard sta proprio in questo, nel guidarci a vedere nella bellezza dei mosaici ravennati la Bellezza di un mondo di luce che vince le tenebre e ridesta nell’uomo la speranza e l’amore. Per cui, dice ancora Frossard, se vi interessa il vostro destino eterno andate a Ravenna. Esso sta scritto sui suoi muri.
Frossard conosceva personalmente la differenza tra la vita senza Dio e la vita con Dio. Figlio del primo segretario del partito comunista francese, fino a vent’anni aveva vissuto da “ateo tranquillo”, che non provava “alcuna curiosità per le cose della religione” (p. 138), come racconta lui stesso nel celebre libro “Dio esiste. Io l’ho incontrato”. Ma a distanza di anni ricordava l’ora esatta in cui nella sua vita aveva fatto irruzione un altro mondo: “Sono le diciassette e dieci. Tra due minuti sarò cristiano”. Entrando in una chiesa per cercarvi un amico, intuisce, fissando una candela, l’esistenza della vita spirituale. “E d’improvviso si scatena la serie di prodigi la cui inesorabile violenza smantellerà in un istante l’essere assurdo che sono per far nascere il ragazzo stupefatto che non sono mai stato” (p. 142).
“Non dico che il cielo si apre: non si apre, si slancia, s’innalza d’improvviso, da quella insospettabile cappella nella quale si trovava misteriosamente rinchiuso. (…) Il pittore cui fosse dato di intravedere dei colori sconosciuti, con cosa li dipingerebbe? Un cristallo indistruttibile, d’una infinita trasparenza, d’una luminosità quasi insostenibile (un grado di più mi avrebbe annientato) e piuttosto azzurrina, un mondo, un altro mondo d’uno spelndore e d’una densità che rimandano di colpo il nostro tra le ombre fragili dei sogni irrealizzati. Questo mondo è la realtà, è la verità: la vedo dalla sponda oscura su cui sono ancora trattenuto. C’è un ordine, nell’universo, ed alla sommità, al di là di questo velo di nebbia risplendente, l’evidenza di Dio, l’evidenza fatta presenza e l’evidenza fatta persona di colui che un istante prima avrei negato, colui che i cristiani chiamano “padre nostro”, e del quale sento tutta la dolcezza, una dolcezza diversa da tutte le altre, che non è la qualità passiva designata talvolta sotto questo nome, ma una dolcezza attiva, sconvolgente, al di là di ogni violenza, capace di infrangere la pietra più dura e, più duro della pietra, il cuore umano.
La sua irruzione straripante, totale, s’accompagna con una gioia che non è altro che l’esultanza del salvato, la gioia del naufrago raccolto in tempo” (p. 143-144).
Nei mosaici ravennati Frossard trovava raffigurato quel mondo di luce che lo aveva imprevedibilmente abbagliato e trasformato, facendogli vedere l’ordine e il senso della vita e insieme facendogli sentire una dolcezza sconvolgente. Sta qui la ragione profonda del suo legame con Ravenna di cui nel volume sottolinea il carattere unico. Scrive, infatti: “L’arte è a Firenze, il sogno a Venezia, la gloria a Roma… l’acqua pura della contemplazione è a Ravenna” i cui mosaici sono testimonianza di un mondo riconciliato, dove l’irrompere del divino salva e rinnova l’umano, un mondo che inizia in questo mondo, perchè, come scrive Frossard, c’è la storia del mondo e c’è la storia di Dio ed è davvero motivo di stupore vedere “la grazia cristiana aprirsi in silenzio una via luminosa in questa storia del mondo che non appare in quel momento se non come un cumulo di tenebre” (p. ).
“La bellezza ferisce, ma proprio così essa richiama l’uomo al suo Destino ultimo… L’incontro con la bellezza può diventare il colpo del dardo che ferisce l’anima ed in questo modo le apre gli occhi. (…) Ammirare le icone, e in generale i grandi quadri dell’arte cristiana, ci conduce per una via interiore, una via del superamento di sé e quindi, in questa purificazione dello sguardo, che è una purificazione del cuore, ci rivela la bellezza, o almeno un raggio di essa. Proprio così essa ci pone in rapporto con la forza della verità” (Ratzinger).
E’ proprio ciò che scrive Frossard quando annota che a Ravenna ci sono sono talento, arte, ispirazione “e qualcosa in più, qualcosa di misterioso che affascina l’intelligenza e la porta insensibilmente a scoprirsi un’anima. Questo qualcosa di misterioso è precisamente il mistero cristiano di una visione «cristocentrica» che dalla croce del Cristo si espande. (…) È la croce che irradia la luce e la vita fino alle estremità dell’universo e conferisce a tutto ciò che è e che sarà ormai senza fine un tasso di realtà, di densità infinitamente superiore a quanto è stato nel tempo e nella storia. (…) Il segreto di Ravenna, di questa bellezza che il tempo potrà sottrarre un giorno al nostro sguardo, ma non al cuore di chi l’ha intravista, è proprio questa rappresentazione di un mondo finalmente riconciliato, questa unione intima del cielo e della terra (…).
Perché qui il cielo e la terra sono una cosa sola, la terra letteralmente ricolma di cielo risplende in una beatitudine indistruttibile, e il cielo si riposa in lei come in una culla. Impossibile disgiungerli, l’uno e l’altra sono intimamente compenetrati per effetto di una fusione letteralmente nucleare della fede e della speranza nel sole della carità. E tutto ciò il mosaico è più adatto di qualsiasi altra forma d’arte a esprimerlo per la durezza, lo scintillio, quella sorta di energia colorata delle sue pietre, congiunte in figure e in meandri da un Pollicino che abbia ritrovato la sua strada nell’infinito.
Frossard afferma che “dopo Ravenna, libro illustrato unico nella storia dell’umanità” “si produce l’invisibile e gigantesca catastrofe dei tempi successivi: il divorzio del cielo e della terra”. Ma il cristiano che sarà passato da Ravenna, e che avrà subito il fascino di questo mondo liberato, avrà compreso che l’origine, la causa prima di questa unità del bello, del bene e del vero, e la ragione stessa della genialità dispiegata davanti ai suoi occhi, non è altro che l’amore; egli avrà compreso che, se vuole convincere il mondo e trarlo fuori dalla notte in cui è già così profondamente immerso, dovrà cominciare, o ricominciare, ad amare, sull’esempio di questi personaggi di Ravenna, i quali tutti vedono una Persona adorabile che noi non vediamo, e sembrano persino, quando ci guardano, scorgerla in ciascuno di noi.
Apri la locandina della serata (formato pdf)
Leggi l’articolo pubblicato su La Voce di Romagna
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