Pubblicato il 4 Agosto 2007
Romano Prodi ha detto e ribadito che la Chiesa dovrebbe sottolineare con più forza nelle omelie il dovere di pagare le tasse. Certo, un cattolico che quando parla il Magistero rivendica il suo essere adulto come diritto a fare di testa sua (stranamente sempre allineato con il potere culturale di turno) e poi vuole dettare alla Chiesa i contenuti delle omelie lascia sconcertati. Ma non voglio infierire: Prodi si commenta da solo (e non da oggi).
Ieri ho chiesto al mio commercialista che mi spiegasse la storia della tassazione al 43% visto che, fatto 100 l’utile aziendale di Itaca, vedo ogni anno scomparire oltre il 75% in tasse (con le casse aziendali ridotte allo stremo perchè lo Stato una parte delle tasse le vuole in anticipo).
Mi ha spiegato che tale percentuale ufficiale è puramente teorica. L’IRAP, infatti, teoricamente al 4,25%, viene calcolata sommando all’utile oneri bancari e soprattutto il costo del lavoro e una parte dei costi amministrativi: avendo Itaca molti dipendenti e collaboratori – tali risultano anche gli autori a cui vengono pagati i diritti -, l’IRAP ha un’incidenza notevole. Dunque, più uno crea lavoro, più viene tassato. Ecco spiegato come quasi tutto l’utile passa nelle casse delle Stato. Poi devo sorbirmi la predica sulla sottocapitalizzazione della piccola impresa! Ho sempre lasciato gli utili (le briciole) in azienda, ma capitalizzarla in queste condizioni è davvero impossibile.
Ma quel che è davvero inaccettabile e indigna è la campagna denigratoria contro il ceto della piccola e media impresa artigiana e commerciale posta in atto da questa governo che è sfociata in nuove adempienze amministrative con relativi nuovi oneri diretti e indiretti (tempo sottratto alla produzione).
E’ l’idea che il privato è potenzialmente un ladro, perciò deve continuamente rendere conto, fino alla delazione. Può una società andare avanti così?
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