Pubblicato il 24 Novembre 2008
Avevo quindici anni quando, tramite “Undicesima Ora”, rivista di Gioventù Studentesca, mi imbattei nei “Racconti minimi” di Solgenitzin.
Me n’è venuto in mente uno questa sera rileggendo l’editoriale di Marina Corradi apparso su Avvenire di sabato 15 novembre dove commenta la disponibilità delle suore di Lecco a continuare a prendersi cura di Eluana: “Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana resti con noi che la sentiamo viva”, “dove, commenta la Corradi, il sentire non è sfumatura sentimentale o pietosa, ma percezione elementare della realtà. Dopo sedici anni di stato vegetativo, Eluana Englaro respira tuttavia autonomamente… In stato vegetativo, incosciente, tuttavia la malata – è una evidenza – è viva”.
“Segando la legna, afferrammo un tronco d’olmo e ci sfuggì un grido di meraviglia: il tronco era stato abbattuto già l’anno scorso, trascinato da un trattore, segato a pezzi, caricato su chiatte e autocarri, ammucchiato in cataste, rotolato per terra; ma non s’era arreso!
In se stesso aveva dato vita a un fresco germoglio, tutto un olmo futuro o un ramo fronzuto che mormora al vento.
Era già sul cavalletto come su un patibolo, ma non osavano immergervi la sega: come si poteva farlo? Perch’è anch’esso vuole vivere! Vivere, e come! – più di noi”.
Quegli umili boscaioli “non osavano immergervi la sega” per un tremore di fronte al mistero della vita. Proprio lo stato vegetativo di Eluana mette in luce questa forza misteriosa che è dentro la natura che “vuole vivere! e come! – più di noi”, persi tra i fumi di tanti ragionamenti che negano l’evidenza prima: che tutto è dato. Perciò accade che la vita, allo stato vegetativo, possa essere messa sul cavalletto per immergervi la sega. Con tanto di sentenza.
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