Pubblicato il 14 Dicembre 2011
«In una società che vive una crisi economica, morale, educativa, della famiglia… quale speranza c’è? Per rispondere a una domanda come questa posso solo guardare opere come quelle della Casa: trovo in essa un modello per tutti, l’esempio di una ricerca per mettersi in relazione e di collaborazione concreta per superare una crisi così faticosa e dalla conseguente sofferenza economica. Unendosi per uno scopo è possibile affrontare i problemi, attraversare la tempesta.»
Chi scrive così nel contributo che compare nel libro Si può sperare in tempo di crisi? è Giuseppe Toschi, ex direttopre didattico, e oggi presidente dell’A.S.P. di Faenza, che da anni collabora con la Casa d’Accoglienza San Giuseppe Santa Rita di Castel Bolognese. Un giudizio realistico il suo.
Cosa fare, infatti, per uscire dalla crisi, che cosa può rimettere in moto? Guardando uomini, opere, imprese in cui il bene c’è. A forza di sentire notizie esclusivamente su ciò che non va o che manca, si finisce per identificare quelle parziali rappresentazioni con la realtà, «intossicandoci, perché il negativo non viene pienamente smaltito e giorno per giorno si accumula. Il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono» (Benedetto XVI).
Ma se c’è almeno un luogo, una persona, un’opera in cui il bene diventa evidente tanto da destare attrattiva in chi vi si imbatte, allora è possibile sperare.
Peraltro l’origine e la storia della Casa sono davvero emblematiche. Essa, infatti, è stata fondata da una donna, Novella Scardovi, che a ventotto anni si era ritrovata in preda ad una totale sfiducia verso l’esistenza. Fu la semplicità di un incontro umano a ridestare in lei la coscienza della positività e della bellezza della vita fino a desiderare «che altri potessero fare lo stesso incontro che aveva liberato me dall’angoscia. Sapevo bene per esperienza personale come fosse drammatica la solitudine e quanto profondo fosse il bisogno dell’uomo».
Così è diventata appassionata costruttrice innanzitutto di rapporti umani, ha condiviso i bisogni di centinaia di persone, fino alla costruzione della Casa, avvenuta diciannove anni dopo quell’incontro. Attraverso di lei tanti sono stati sostenuti nelle difficoltà della vita e sono rinati alla speranza: non a caso il suo nome riaffiora in diverse pagine del libro. Sarebbe interessante chiedersi quanta energia, quanto bene, quanta bellezza siano stati destati dal cuore vibrante di questa donna e di quanti con lei prima hanno collaborato alla costruzione della Casa e poi ne hanno proseguito l’opera.
Come il libro ampiamente documenta è l’io il fattore decisivo per affrontare e andare oltre la crisi: come potrà esserci ripresa economica senza ripresa dell’umano, se non si accende il desiderio di verità, di bellezza, di giustizia, di amore, di costruttività, di utilità del vivere che costituisce il cuore, la natura profonda di ogni uomo?
Per questo abbiamo messo a conclusione della seconda parte due esperienze le quali documentano che è possibile un nuovo inizio anche dopo una profonda crisi, personale o aziendale, che addirittura la vita può riprendere molto più vera di prima e l’azienda crescere più solida, perché dove l’umano rinasce tutto acquista un ordine, una verità, una bellezza prima sconosciuti. Ma appunto occorre uno sguardo umano, un’amicizia, un terreno buono dove l’io sia custodito e nutrito, come un seme destinato a diventare un albero che porta frutto e alla cui ombra è possibile riposare.
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