Pubblicato il 10 Gennaio 2017
di Paola Ida Orlandi
Dopo i giorni, dal 15 al 19 novembre 2016, trascorsi con Nijolė Sadūnaite, lituana sopravvissuta a tre anni di lager in Mordovia e tre di confino in Siberia dal 1974 al 1980 giunta in Italia in occasione dell’uscita del libro (con dvd) Il cielo nel lager (Itaca Edizioni), il desiderio è quello di cogliere la portata di tanta bellezza per non smarrirne il gusto.
Attorno agli incontri svolti a Legnano, Milano e Pesaro, sono infatti accadute cose straordinarie. La prima è stata che la Dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale per le Marche, cui ho presentato l’iniziativa dell’incontro serale a Pesaro, si è entusiasmata a tal punto da propormi di fissare un incontro la mattina per i ragazzi delle scuole. Così lei stessa ha inviato a tutte le scuole del territorio una circolare con l’indicazione dell’evento. Per l’incontro avevo prenotato una saletta da 120 posti, ma, dato che ogni giorno si aggiungevano circa 100 ragazzi, ho affittato un cinema e chiuso le iscrizioni dopo soli quattro giorni. E la proposta era stata fatta soltanto ai ragazzi dell’ultimo anno delle superiori.
Tutti siamo stati travolti dall’incontro con Nijolė che, all’alba dei suoi 79 anni, sorprende per una vivacità solare. È come una bambina, innamorata di tutto ciò che ha davanti e, nello stesso tempo, così cosciente della propria fragilità da essere visibilmente poggiata su un Altro. In lei la fede si manifesta in un’umanità esplosiva, incontenibile, illuminata da un’ironia fine e da una disarmante umiltà. In chi l’ha incontrata ha lasciato un segno profondo, anche nelle persone più distanti dalla fede, persone che Nijolė guarda sempre con immensa stima e da cui impara molto.
Prima dell’incontro, in una sala gremita dai 350 studenti, ero molto preoccupata tanto da consigliare a Nijolė una certa prudenza nel pronunciare la parola “Dio” per la lontananza di tutti quei ragazzi dalla fede. Mi ha risposto serenamente: “è tutta grazia di Dio che siano qui!”. Così come, nei due minuti prima di salire sul palco, mentre io riordinavo le cose da dire, l’ho scorta pregare in silenzio: lì ho capito che lei non si agita prima degli incontri perchè, anziché mettere in fila lei le cose da dire, chiede a Dio di farlo. Naturalmente Nijolė ha pronunciato spesso la parola “Dio”. Addirittura ha esordito dicendo che era una suora, ma questo non ha allontanato le persone non credenti, che sono state conquistate dalla luce del suo costante sorriso e dal fascino della sua umanità libera. Un’insegnante non credente, che ha definito la testimonianza della donna lituana “fortemente connotata, ma anche molto onesta intellettualmente”, ha riconosciuto che non solo i suoi ragazzi erano stati veramente soddisfatti: per lei era stato meraviglioso conoscere Nijolė. Un’alunna lontana dalla fede mi ha scritto che “Nijolė ora vuole spingerci ad alzare gli occhi, ad avere un nuovo punto di vista riguardo alla realtà che ci circonda, dimostrandoci con la sua esperienza che se guardiamo gli altri con amore e comprensione possiamo aprire nuovi orizzonti, più vasti di prima. (…) Ho capito che la fede in Dio è l’unico modo per opporsi al male, alla violenza e alla crudeltà”.
Nei giorni successivi all’incontro sono arrivate tanti messaggi dei ragazzi. Uno di questi dice “Pochi giorni fa stavo camminando di sera per andare ad una festa di compleanno. Nonostante avessi il cappotto e fossi ben coperto, tremavo dal freddo… lì per lì la cosa mi dava fastidio, poi ho ripensato a quello che ci aveva raccontato Nijolė, in particolar modo quando era condannata a subire il freddo della Siberia; non negavo il fatto che sentissi comunque freddo, ma allo stesso tempo non riuscivo ad immaginare come lei e gli altri deportati potessero sopportare una condizione di freddo a -50°C. La continua voglia di far emergere la verità, il suo carattere sempre allegro, tranquillo e libero dall’odio (sia nel vivere che nel raccontare il lager) , la sua continua motivazione a non perdere mai la speranza, mi sono ogni giorno da esempio, nelle mie scelte, nelle mie sconfitte e nelle mie vittorie e grazie a questo incontro ho capito che in qualsiasi condizione ci si trovi, bisogna sempre far valere la verità”.
Lo sguardo di Nijolė fa esplodere l’altro in tutta la sua umanità: dopo gli incontri ho visto persone confidarsi, consegnare pesanti fardelli, affidare le proprie vite, aprire il cuore senza paura di essere giudicate, come se percepissero in lei una donna libera che non ha il problema di convincere, ma solo di amare.
Un esempio è la domanda di una ragazza presente all’incontro svolto all’istituto Tirinnanzi di Legnano. Riprendendo un passaggio del docufilm, ha chiesto a Nijolė come fosse possibile domandare a Dio senza “sentire”, senza il coinvolgimento del proprio sentimento. La donna, intravedendo nella giovane mai incontrata, oltre ad una fatica, un temperamento fiero, l’ha sfidata con una risposta di stima: “Dio ti ha fatto il dono di un carattere forte e per questo ti ha dato l’oscurità, cioè la sofferenza. Questa è il sale di cui hai bisogno perché la tua vita abbia sapore. Senza sofferenza non ci sarà mai gioia, la quale consiste nel capire che, sebbene non vedi e non tocchi – anche questa è oscurità – puoi avere fede. Comprendere questo è un dono che coglierai nella maturità. Dio ti risponderà attraverso l’esperienza della vita e ti ama molto, se ti dà l’oscurità”. Finito l’incontro pubblico, quella ragazza, che affermava di non aver capito la risposta di Nijolė, ha continuato a rifarle più volte la stessa domanda, piangendo. Una ragazza che, per la prima volta, si apriva e durante un’assemblea. Nei giorni seguenti Nijolė ne riparlava colpita: “Quella giovane diceva di non “sentire” nulla, ma non si accorgeva che sentiva perché piangeva… Prima o poi si accorgerà di essere molto amata” e, dimostrando una pazienza carica di certezza, aggiungeva “Noi adulti dobbiamo solo affascinare i ragazzi, suscitando in loro il desiderio di cercare. Cercando, sicuramente troveranno”. Infatti “quando si ama una persona che non crede in Dio, non bisogna parlarle di Dio, bisogna parlare molto con Dio”.
Nijolė vince ogni obiezione e disarma l’avversario più agguerrito perché lei lo abbraccia prima di ogni parola: prima di tutto lo ama e questo amore schiude il cuore, spalanca la mente. La cosa che mi ha colpito di più del processo per aver diffuso il giornale clandestino che difendeva la libertà di coscienza e di religione, è stata quando la donna, rifiutando un avvocato difensore, perché «la verità si difende da sé», inizia così l’autodifesa, rivolgendosi ai suoi accusatori: “Voglio premettere che amo tutti come miei fratelli e sorelle e che, se occorresse, non esiterei a dare la mia vita per ciascuno di voi. Oggi questo non è necessario; c’è però una dolorosa verità che va apertamente riconosciuta. Infatti soltanto chi ama ha il diritto di biasimare e di criticare l’oggetto del suo amore”.
Un ragazzo del liceo artistico, durante l’incontro al cinema, ha chiesto a Nijolė come mai non si fosse arrabbiata con Dio per quello che le era successo, domanda cui la donna ha risposto con estrema cura, spiegandomi poi il perché: aveva percepito l’importanza di quell’obiezione che anche altri avrebbero potuto sollevare allo stesso giovane che, quindi, avrebbe dovuto far leva su tutta la profondità della sua esperienza per rispondere a sua volta. Alla fine dell’incontro questo ragazzo (che tra l’altro si era sottratto all’assemblea della sua scuola in cui si era presentato come rappresentante di istituto) si è fiondato sul palco e ha confidato a Nijolė che, facendo catechismo in parrocchia, era rimasto colpito quando aveva scoperto che ai tempi sovietici fare catechismo fosse considerato un crimine. Quindi ha chiesto alla donna il permesso per un’ultima domanda: “Le volevo chiedere questo: mi può abbracciare?”. Di fronte a quello spettacolo – un ragazzone di diciannove anni che si piega su una vecchietta – sono rimasta basita. Certo, Nijolė tira fuori il desiderio più vero dell’altro, ma il desiderio più vero si impone nei ragazzi con maggior immediatezza che negli adulti: le risposte alle domande più radicali si scoprono attraverso un cammino personale – il cammino della propria esperienza – ma per camminare e per scorgere i segni che si affacciano lungo la strada occorre una cosa: essere abbracciati.
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