Pubblicato il 14 Dicembre 2011
Ho appena mandato in stampa – uscirà venerdì – il libro Si può sperare in tempo di crisi? dove sono raccolte interviste e testimonianze di imprenditori e responsabili di opere non profit i quali raccontano come stanno vivendo questo difficile momento.
L’idea di questo libro è nata a seguito del documento pubblicato da Comunione e Liberazione, La crisi sfida per un cambiamento. «La crisi è un dato» vi si legge. «È irrazionale pensare che basti essere contro qualcuno per sconfiggere la crisi, peggio ancora è negarne l’esistenza. È il contrario di quella tradizione ebraico-cristiana per la quale la realtà è percepita come ultimamente positiva, anche quando mostra un volto negativo o contraddittorio.
La realtà, infatti, ci rimette continuamente in moto, provocandoci a prendere posizione di fronte a ciò che accade.
Questa consapevolezza ha costruito la storia millenaria dell’Occidente. E a dispetto di ogni dualismo o manicheismo – per cui il male è sempre da una parte e il male sempre dall’altra –, ha permesso di costruire il futuro proprio accettando le sfide della realtà, rispondendo ad esse con intelligenza, creatività e capacità di sacrificio.»
Non appena lessi queste parole mi vennero subito in mente i soci della Compagnia delle Opere di Ravenna e Ferrara, di cui conoscevo la ricchezza umana e l’intelligenza imprenditoriale, e pensai che sarebbe stato interessante chiedere loro come stavano affrontando questa circostanza così da verificare sul campo se quanto scritto in quel documento, «La realtà è positiva perché mette in moto la persona», fosse una affermazione astratta, fuori della realtà o, per qualcuno almeno, una esperienza.
Da mesi i dialoghi tra le persone come la comunicazione sui mass media avevano un unico contenuto, la crisi e le sue conseguenze, con un inevitabile effetto depressivo, insopportabile a livello psicologico e paralizzante a livello operativo: laddove prevalgono lamento e disperazione, quale novità può accadere? E se non accade una novità, potrà mai esserci una ripresa?
L’obiettivo che mi proponevo era documentare esempi di costruzione in atto, così che si potesse dare voce alla speranza non come un fatalistico «speriamo» o un irragionevole «pensiamo positivo», privo di fondamento, perciò illusorio, ma alla speranza come esperienza di un bene presente, di una roccia su cui sono poggiate le fondamenta della propria casa per cui, pur provata dalla tempesta, resiste a differenza di quella costruita sulla sabbia.
Pensavo che mi sarebbero arrivati pochi contributi: ne ho raccolto una quarantina, Pur essendo quasi esclusivamente di area romagnola, essi assumono un valore paradigmatico come documentazione del fatto che nel nostro Paese esistono tantissime persone che, per citare ancora il documento di CL, «non si lasciano trascinare dal flusso delle cose, ma remano controcorrente anche a costo di sacrifici», persone «che si sono rimesse in azione senza aspettare che altri – sempre altri – risolvano i problemi. Non potendo cambiare tutto subito, hanno cominciato a cambiare loro.»
Non per una sorta di giogo imposto dalle circostanze e amaramente subito – questo l’aspetto che mi ha sorpreso sopra tutti –, ma con una gratitudine fino alla letizia che trapela nei loro racconti per essere stati sfidati dalla realtà a rimettersi in gioco, ad allargare gli orizzonti, a ripensare il rapporto con i collaboratori, i clienti e i fornitori, l’organizzazione interna, le strategie, a innovare il prodotto, a muoversi per cercare nuovi mercati a livello nazionale o all’estero. Da questa crisi – c’è da esserne certi – il tessuto economico del nostro Paese uscirà rinvigorito.
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