Pubblicato il 12 Ottobre 2009
Il 7 ottobre è stato presentato a Roma il libro La P38 e la mela. Prestigioso il luogo dell’incontro – la sala conferenze di Palazzo Marini, sede degli uffici della Camera dei Deputati – e non da meno i relatori: l’onorevole Massimo D’Alema, il senatore Franco Marini e il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni. A moderare il dibattito il professor Massimo Borghesi, dell’Università di Perugia. Raccontiamo qui brevemente la cronaca dell’evento attraverso le parole del giornalista di «Avvenire» Angelo Picariello e le immagini del fotografo Romano Siciliani.
La P38 e la mela. Un titolo un po’ strano, per un libro che richiama un evento delirante, di quelli che punteggiarono drammaticamente gli anni ’70: l’uccisione di Mariano Romiti, maresciallo di polizia giudiziaria al commissariato di Centocelle eliminato come un ideologo della repressione dello Stato, salvo a trovare nella sua borsa solo una mela.
«Un raro caso di racconto della violenza di quegli anni da un punto di vista cattolico», così descrive il volume (edito da Itaca) Massimo Borghesi, moderatore del dibattito. Che ha visto confrontarsi nella sala di Palazzo Marini alcuni (allora) giovani protagonisti: Massimo D’Alema, Franco Marini e Roberto Formigoni, mentre Giulio Andreotti ha inviato un affettuoso messaggio. Protagonisti da sponde diverse o contrapposte, che però dovettero tutti fare i conti con la violenza.
Il libro vive del dialogo fra due cattolici con storie assai diverse che si ritrovano: Pio Cerocchi – giornalista, poi divenuto direttore del Popolo – legato alla Fuci e ai «cattolici democratici », e Saverio Allevato, fra i leader a Roma di Comunione e Liberazione e poi del Movimento Popolare. «Cattolici della mediazione e cattolici della presenza, si disse sbrigativamente – spiega Formigoni -. Anche se oggi capisco di più le difficoltà di tanti interlocutori in buona fede che non riuscivano a comprendere quella presenza nuova».
Marini racconta di un inedito servizio d’ordine della Cisl schierato a difesa di un’assemblea ciellina alla Sapienza il 9 febbraio del ’77. Una presenza anomala in università, che rompeva gli schemi finendo nel mirino di entrambi gli estremismi di allora. Due anni prima, alle elezioni comunali di Roma (che avevano visto candidati per la Dc, ed eletti, due militanti del movimento) per una storia di manifesti furono assaliti a sprangate da un gruppo neo fascista due giovani di Cl, Gianni Gianninoto e Lucio Brunelli, oggi vaticanista del Tg2.
I giornali titolarono: «Scontri fra fascisti», a testimonianza di quanto quella realtà non fosse stata capita. Nel ’77 le botte, anzi i colpi veri e propri, arrivarono invece dal terrorismo di sinistra, che gambizzò Mario Perlini, colpevole solo di essere il papà di un leader di Cl di allora, Roberto detto «papero» che si limitava, qualche volta, ad accompagnare i figli agli incontri.
Ma c’era anche chi si mostrò incuriosito da questa «nuova» presenza. Aldo Moro, ad esempio, ne fu discreto ma assiduo interlocutore, intervenendo anche al celebre incontro del ’73 al Palalido di Milano. Mentre Marini, da segretario («allora ambizioso», dice) della Cisl e vice di Pierre Carniti, ne fu aperto sponsor: «Erano i tempi – ricorda – che, in omaggio all’unità sindacale, anche quelli della Cisl iniziavano a dire dal palco “cari compagni” e il coraggio di quei giovani mi colpì, decisi di aiutarli».
Fu lui stesso con Moro a promuovere un incontro al Viminale con il ministro Cossiga, «per fornire loro qualche protezione »: «Interlocutori – Moro, Marini, ma anche Cossiga – che furono per noi una sorpresa straordinaria», ricorda Formigoni.
«Noi in realtà ci sentivamo più di sinistra», dice Borghesi, ricostruendo una storia lunga e complessa che vide, ad esempio, la nascita nel 1971 della comunità di sant’Egidio proprio ad opera di uno dei primi leader (con Rocco Buttiglione) della neonata Cl a Roma: ossia Andrea Riccardi.
D’Alema recita la parte del «nemico, allora dirigente dei giovani comunisti». «No, non vi abbiamo mai considerato nemici», assicura Formigoni. Avversari sì, però in nome di una parola gramsciana – egemonia – che spingeva i ciellini a invadere i campi della politica e della cultura. «Per fare presenza, non egemonia – precisa Formigoni -, mentre la Dc era per noi troppo remissiva».
Da D’Alema attestati di stima sincera a Cl per il «coraggio che ebbe di testimoniare i propri ideali, per la capacità di occuparsi anche nel concreto dei bisogni di giovani e studenti», ma anche garbate puntualizzazioni: «Non eravate i soli in quegli anni nel mirino della violenza, e forse dovevate fare fronte comune con noi». E ricorda Benedetto Petrone e gli altri giovani “compagni” uccisi che gli toccò accompagnare per l’ultimo saluto, da dirigente della Fgci. Marini non è da meno, ricorda la sua cintura che servì a tamponare l’emorragia di Gino Giugni gambizzato, in attesa dei soccorsi. Formidabili, quegli anni, ha detto qualcuno. Allevato si limita a definirli «terribili».
Angelo Picariello, Avvenire, 8 ottobre 2009
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