La fede nel comunismo
La tragica utopia di un uomo nuovo senza Dio
Presentazione di Giorgio Sgubbi
Collana: Saggi«Spiegatemi perché credere in Dio sarebbe ridicolo, mentre non lo sarebbe credere nell’umanità; credere nel regno dei cieli sarebbe stupido, mentre sarebbe intelligente credere nelle utopie terrene» (Aleksandr Herzen).
Il comunismo fu una fede tesa a costruire un mondo più giusto, per assicurare la felicità a tutta l’umanità.
Il secolo dei Lumi aveva affermato che l’uomo è buono per natura ed è la società che lo corrompe.
Di qui la necessità di rimuovere tutto ciò che opprime l’uomo per realizzare il comunismo, «il momento reale dell’emancipazione e della riconquista dell’Uomo» (Marx).
Messi alla prova, gli uomini continuarono ad essere imperfetti e inadeguati rispetto alle esigenze di perfezione della ragione e della dottrina. La fede nella capacità dell’uomo di realizzare «il paradiso in terra» si risolse storicamente in un vero e proprio inferno: invece del «sole dell’avvenire» «buio a mezzogiorno».
La storia del comunismo invita a riflettere sull’uomo, sui meccanismi della violenza che spesso lo dominano e sul suo inestinguibile desiderio di compimento, che chiede una ragione liberata dalle secche del razionalismo, disposta ad aprirsi alla vastità del reale.
Leggi l’introduzione del libro “La fede nel comunismo”
Oggi raramente si parla della storia del comunismo e quando vi si accenna il ricordo tende a ridursi alle immagini del muro di Berlino che viene abbattuto o della bandiera rossa sul Cremlino di Mosca che viene ammainata e sostituita da quella della Repubblica Russa. Immagini di liberazione, immagini di festa. Ma anche immagini di un fallimento; di grandi passioni politiche e di grandi speranze umiliate da un finale inglorioso. Sono passati poco più di vent’anni e da allora tutto è cambiato, in fretta; e hanno preso il sopravvento il desiderio di dimenticare e l’abitudine a raccontare il passato come se quel capitolo di storia mancasse. Questo produce una patina di falsità sul modo in cui la storia moderna viene raccontata ed è causa della perdita di una grande lezione della storia.
Anzitutto dietro alla parola “comunismo” stava il desiderio di realizzare un ideale nobile e straordinariamente affascinante: una vita più giusta e più dignitosa per coloro che si trovavano agli ultimi posti nella scala sociale, «riorganizzare la vita umana sulla duplice base della solidarietà sociale e della fratellanza universale»[1] e portare a compimento le aspirazioni a una vita più autentica, più felice. Dietro a quella parola stava anche una dottrina filosofica di successo, che ha avuto l’adesione delle menti più brillanti dell’Ottocento e del Novecento fino a diventare uno dei più potenti e completi sistemi filosofici mai esistiti: il marxismo (o più precisamente il “materialismo dialettico”, diamat). Esso era in grado di offrire un’interpretazione profonda e convincente della società moderna, dei meccanismi dell’economia, del corso della storia e di molto altro; e insieme indicava anche la via per realizzare un mondo nuovo con al centro il valore della giustizia sociale e dell’uguaglianza. La futura società comunista avrebbe poi dovuto costituire il passaggio dalla preistoria alla storia, dal mondo della necessità a quello della libertà, come avevano predetto i massimi interpreti di questa dottrina: Marx e Engels[2].
Si trattava dunque di qualcosa di assolutamente straordinario, che ha esercitato una vasta e duratura influenza sulla cultura di quasi tutti i paesi del mondo. I seguaci del marxismo hanno riempito per decenni le università e le scuole di ogni ordine e grado, le redazioni dei giornali e ovviamente il mondo della politica.
Nel maggio del 1968 sotto gli auspici dell’Unesco fu tenuto a Parigi un grande simposio internazionale dedicato proprio al pensiero di Marx. Vi parteciparono tutti i più importanti nomi della cultura dell’epoca: Aron, Adorno, Habermas, Fromm, Marcuse, Hyppolite, Garaudy, Hobsbawn, Baumann e altri ancora. Intellettuali dell’Est e dell’Ovest fecero a gara per esaminare il suo pensiero in tutti i suoi aspetti. Di fronte a questo avvenimento ci chiediamo: «È mai esistito un filosofo e insieme una dottrina filosofica che possano vantare un simile riconoscimento a livello planetario?». E pensiamo che la risposta non possa essere che negativa.
Il comunismo ha poi ottenuto un successo straordinario anche in campo politico. Nel corso del XX secolo hanno avuto un regime comunista dapprima il paese più vasto del mondo, la Russia, e in seguito tanti altri paesi fra cui quello più popoloso del mondo, la Cina. Il successo è stato tale che negli anni ’70 e ’80 più della metà della popolazione mondiale era sotto un regime comunista, mentre in altri paesi – fra cui l’Italia – non erano pochi coloro che desideravano fare parte di quel mondo. Domandiamo: «È mai esistito un fenomeno politico che possa vantare un simile successo a livello planetario?». Anche in questo caso la risposta non può essere che negativa.
Gli ideali sono uno degli aspetti più importanti della vita di ogni uomo e di ogni società; e l’ideale di una vita più giusta è uno dei più nobili e stimabili. Per questo nei tempi moderni l’ideale comunista è stato la risposta più affascinante e convincente al nostro umano bisogno di desiderare un mondo migliore; e la realizzazione di una società comunista è stata a sua volta considerata per lungo tempo un tentativo di realizzare quell’ideale. Ciò ha prodotto la più straordinaria mitizzazione di uomini, paesi e regimi politici che la storia conosca.
Oggetto di questa mitizzazione è stata soprattutto l’Unione Sovietica di Lenin e Stalin. Come ci ricorda lo storico Robert Conquest: «Il vasto territorio dell’Unione Sovietica aveva cessato di appartenere alla sfera della realtà geografica»[3], per diventare il paese dell’ideale. Per questo essa è stata per molti anni la meta di pellegrinaggi da ogni parte del mondo. Lo stesso fenomeno ha poi riguardato paesi come la Cina di Mao e altri. Ci chiediamo ancora: «È mai esistita nella storia una dottrina capace di coinvolgere il desiderio e la passione e nello stesso tempo di appagare le esigenze della ragione come il comunismo?». Se la risposta negativa non può essere del tutto sicura data la complessità dell’argomento, si deve comunque ammettere che poche, pochissime altre dottrine sull’uomo e sulla storia possono vantare un simile successo.
Nel loro insieme questi motivi sarebbero più che sufficienti per fare uscire il comunismo dall’oblio e porlo al vertice dell’interesse e dell’attenzione. Ma ad essi se ne deve aggiungere un altro, che è il più importante di tutti: quando il comunismo è andato al potere, è stato il protagonista di una storia del tutto inaspettata e straordinariamente contraddittoria. Lo ricordiamo con le parole di Andrej Sinjavskij[4]: «Affinché scomparissero le prigioni noi abbiamo costruito nuove prigioni. Affinché scomparissero le frontiere fra gli Stati, noi ci siamo circondati di una muraglia cinese. Affinché il lavoro in avvenire diventasse riposo e piacere, noi abbiamo introdotto i lavori forzati. Affinché non si versasse neanche una goccia di sangue noi abbiamo ucciso, ucciso e ancora ucciso»[5].
Per queste contraddizioni il comunista Ante Ciliga a proposito del paese che aveva preteso di realizzare quell’ideale, cioè l’URSS, affermò un giorno che «non esiste in nessun altro luogo del mondo contraddizione così flagrante fra la vita reale e la dottrina ufficiale». E lo definì: «Il paese della grande menzogna»[6].
Se il comunismo è stato un ideale capace di soddisfare il cuore e la ragione dell’uomo moderno, il tentativo di realizzarlo a sua volta è stato una rivelazione sull’uomo: uno dei fenomeni più ricchi di significato di tutta la storia soprattutto per quanto riguarda il modo in cui la natura umana reagisce in condizioni estreme.
Studiare la sua realizzazione storica equivale quindi a compiere un viaggio all’interno di ciò che di più profondo e nascosto si trova nell’uomo, un «viaggio nella vertigine»[7] in fondo al quale si trova qualcosa di importante e prezioso per tutti.
[1]Ante Ciliga, Nel paese della grande menzogna, Jaca Book, Milano 2007, p. 3. Ante Ciliga era nato in Croazia nel 1899, quando essa faceva parte dell’impero austro-ungarico. Fu un comunista della prima ora e dopo la prima guerra mondiale si recò nell’URSS dove visse nove anni ed ebbe in sorte di finire in un lager. Espulso dall’URSS, fu antistaliniano e amico di Tro’ckij fino a quando non si dissociò anche da lui. Espulso dal partito comunista iugoslavo, fu ugualmente un protagonista della politica europea negli anni della seconda guerra mondiale e del dopoguerra. Da allora visse soprattutto in Francia e in Italia. Morì nel 1992.
[2] Cfr. Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1949, p. 122; Friedrich Engels, Antidühring, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 290.
[3]Robert Conquest, Stalin, Mondadori, Milano 2002, p. 14
[4] Andreij Sinjavskij nacque a Mosca nel 1925. Cominciò la sua attività di scrittore e critico letterario su riviste ufficiali e in seguito diventò membro dell’Unione degli Scrittori dell’Unione Sovietica. Nel 1960 Sinjavskij era fra coloro che accompagnarono al cimitero la salma di Pasternak. Già dal 1959 aveva cominciato a pubblicare anche all’estero e per questo reato nel 1966 venne processato insieme all’amico Julij Daniel’ e condannato a cinque anni di lager. Nel 1973, liberato dal lager, emigrò all’estero e prese la residenza a Parigi, dove insegnò letteratura russa e fondò una rivista a cui diede il nome «Sintaksis», lo stesso di una delle prime riviste del samizdat (editoria clandestina). Sinjavskij è morto nel 1997.
[5] Michail Geller, Il mondo dei lager e la letteratura sovietica, Edizioni Paoline, Roma 1977, p. 292. La citazione è tratta dall’opera di Sinjavskij, La corte. Il mondo fantastico di Abram Terc. Abram Terc è lo pseudonimo usato dall’autore quando pubblicava clandestinamente in Occidente.
[6] Ciliga, Nel paese della grande menzogna, cit., p. 5.
[7] Cfr. Evgenija S. Ginsburg, Viaggio nella vertigine, Mondadori, Milano 1067; Viaggio nella vertigine 2, Mondadori, Milano 1979.
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